Amati (e difendi i tuoi diritti).
Se ti stai chiedendo come festeggiare l’otto marzo – nonostante le ben poco felici restrizioni dettate dal distanziamento sociale – mettiti comoda: sei venuta nel posto giusto e – soprattutto – la risposta è più semplice (e apparentemente banale) di quello che pensi.

Amati.
Amati e difendi i tuoi diritti.
Un po’ di storia.
Correva l’anno 1977 quando, con la risoluzione 32/142 del 16 dicembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (il principale e più rappresentativo organo istituzionale dell’ONU), propose lo “United Nations Day for Women’s Rights and International Peace”.
Detta risoluzione riconosceva ipso facto il ruolo delle donne nel mantenimento della pace internazionale e nella lotta alle discriminazioni. Il suggerimento finale rivolto ad ogni paese, “nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali”, era “semplicemente” quello di dichiarare una data annuale da dedicare alla “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”.

La scelta ufficiale per molte nazioni ricadde sull’8 di marzo, poiché in questa data venivano già commemorati eventi storici in qualche modo collegati al movimento operaio femminile (e non solo).

Proprio l’8 marzo 1917 a San Pietroburgo, infatti, un folto gruppo di donne russe guidò una grande manifestazione finalizzata a richiedere il ritiro delle armate coinvolte nella Prima Guerra Mondiale. La fiacca reazione cosacca alle rimostranze non fece altro che incoraggiare le successive manifestazioni anti-zariste e, non a caso, proprio l’8 marzo 1917 è la data convenzionalmente utilizzata dagli storici per indicare l’inizio vero e proprio della Rivoluzione russa di febbraio.
La forte colorazione politica dell’8 marzo e il – relativo – isolamento politico del blocco sovietico da quello filo-statunitense nel secondo dopo guerra, hanno successivamente contribuito a far perdere memoria storica sui fatti avvenuti e a far fiorire numerose – e fantasiose – versioni sulle origini della manifestazione.
Citiamo, a mero titolo di esempio, gli episodi più famosi e più comunemente utilizzati dai mass media per individuare la nascita dell’8 marzo: il fantomatico incendio del 1908 alla Cotton’s (l’episodio ricalca una tragedia realmente avvenuta, qualche anno più tardi alla Triangle) o l’ipotetica manifestazione sindacale di New York, nel 1857.
In realtà la Giornata delle donne (solo negli anni ’80 del ‘900 tristemente banalizzata in generica “festa delle donne”) affonda le sue radici ancor prima che nel movimento antidiscriminatorio degli anni ’70 del 1900, nel cosiddetto “femminismo di prima ondata”, emerso dopo secoli di dichiarata misoginia, squisitamente legato ad aspetti legali della condizione femminile.

Due esempi fra tutti: il movimento delle suffragette per l’ottenimento del diritto di voto e quello, altrettanto fondamentale, attivo per l’ottenimento di una più generale parità giuridica e sociale.
Ha ancora senso nel 2021 la festa delle donne?
Questa è una domanda che come filosofa e come donna, mi sono sentita spesso rivolgere. Non sempre con buone intenzioni e spesso con un pizzico di finta ingenuità che mai guasta.
La mia risposta è sempre, inesorabilmente la stessa: si, lo ha.
Lo ha, eccome !
Non si tratta di nostalgia socialista, di anacronismo, di generi più o meno fluidi o di piccoli fiori gialli. A maggior ragione non si tratta di poter scimmiottare, una volta l’anno, i peggiori e beceri comportamenti maschili. Travestirsi da uomini liberi e disinibiti, una notte all’anno, per poter infilare una banconota nello spogliarellista di turno. Per poi tornare, naturalmente, il giorno dopo alle proprie mutande da lavare e alle battutine sessiste del capufficio di turno da dover pazientemente sopportare.
Si tratta di memoria storica.
E di politica.
Perché la storia ci ha già drammaticamente insegnato come diritti e libertà acquisiti (da altri/e/*) non debbano assolutamente essere dati per scontati.
Sappiamo anche troppo bene, dalle cronache più o meno recenti, come qualcosa di ritenuto ormai consolidato, possa improvvisamente essere rovesciato dall’oggi al domani. Anche a causa di una certa pigrizia politica e intellettuale.
Perché quando si parla di discriminazioni, è sempre una questione di politica.

Ha ancora senso nel 2021 parlare di discriminazioni di genere?
Anche questa è una domanda che, come filosofa e come donna, ho sentito spesso. Anche in questo caso, la mia personale risposta non cambia: si, ha senso.
Eccome se ce l’ha !
Ha senso quando una donna è costretta a scegliere tra carriera e famiglia.
Ha senso per ogni lettera di licenziamento fatta firmare in anticipo in caso di gravidanza.
Ha senso per ogni battutina sulla propria gonna troppo lunga o troppo corta.
Ha senso per il doppio lavoro non retribuito, di casalinga e lavoratrice.
Ha senso per ogni aggressione, verbale o fisica.
Ha senso per ogni femminicidio.
Ha senso per ogni centesimo guadagnato in meno rispetto ad un maschio bianco, a parità di mansione ricoperta e ore di lavoro.
Ha senso perché non esiste solo la nostra Italia nel nostro bell’occidente e in altre parti del mondo una donna in questo momento è costretta a sposarsi contro la sua volontà. O peggio, minorenne.
Ha senso perché persino nel nostro civilissimo occidente, una donna non è ancora libera di autodeterminarsi.
Nella nostra gabbia dorata, una donna è ancora costretta a tingersi i capelli se vuole fare la giornalista e andare in tv. A essere magra, pena la morte capitale per pubblico ludibrio. Ad assumere pose, modi, ritmi “maschili”, se vuole fare carriera, per raggiungerne ipotetici “standard di produttività”. A truccarsi, tirarsi, rimpinzarsi come un tacchino nei punti “giusti”, a “tenersi sotto controllo”, ad essere sempre politicamente corretta a seguire gli standard.“Giustezza” sempre decisa, ad ogni modo, da un altro fuori di sé: un medico, un personal trainer, un capo. Solitamente bianco, maschio e ricco.
E allora come fare a festeggiare l’8 marzo?

Amati. Amati e difendi i tuoi diritti.
Il Diritto ad essere chi vuoi quando vuoi.
Il Diritto a vivere il tuo essere femminile, ma anche a non viverlo se lo desideri.
Il Diritto alla maternità e alla non maternità.
Il Diritto al lavoro e allo stare a casa se lo preferisci.
Il Diritto a dire quello che pensi.
Il Diritto ad essere ascoltata.
Il Diritto ad essere pienamente padrona della tua anima, delle tue ossa e del tuo sangue, della tua mente e della tua professione.
Il Diritto a vivere il tuo corpo per come è: alto, basso, magro, grasso, muscoloso, longilineo, vecchio, giovane, sano, malato, abile, non abile.
Ama-ti.
Perché tu hai diritto a tutto questo e a molto di più.